Il “Diario” di Etty Hillesum
per Il Giorno della Memoria
allo Spazio Don Chisciotte

Il "Diario" di Etty Hillesum  per Il Giorno della Memoria  allo Spazio Don Chisciotte

Voci della Memoria allo Spazio Don Chisciotte
Letture in musica dal Diario di Etty Hillesum
ed esposizione di quadri di Mario Lattes sull’identità ebraica
per il Giorno della Memoria

Reading di Elena Zegna
Interventi musicali di Ubaldo Rosso

Giovedì 25 gennaio 2018, ore 18
Spazio Don Chisciotte della Fondazione Bottari Lattes
Torino (via della Rocca 37b)

Se tutto questo dolore non allarga i nostri orizzonti e non ci rende più umani,
liberandoci dalle piccolezze e dalle cose superflue di questa vita, è stato inutile

Etty Hillesum

 

La Fondazione Bottari Lattes ricorda le vittime dell’Olocausto attraverso la toccante e straordinaria testimonianza di Etty Hillesum, scrittrice olandese di origine ebraica, morta ad Auschwitz nel 1943. In occasione del Giorno della Memoria (ricorrenza internazionale celebrata il 27 gennaio di ogni anno), giovedì 25 gennaio alle ore 18 allo Spazio Don Chisciotte di Torino (via della Rocca 37b) propone Voci della Memoria: le riflessioni, i pensieri e i sogni della giovane intellettuale, affidati alle pagine del Diario (1941-43), saranno letti e interpretati dall’attrice Elena Zegna. A sottolineare l’intensità dei testi saranno gli interventi musicali del flautista Ubaldo Rosso. Come cornice alla lettura saranno esposti i più significativi dipinti di Mario Lattes (editore, pittore e scrittore, cui è intitolata la Fondazione) dedicati all’identità ebraica.

Dettagliato resoconto degli ultimi due anni della sua vita, Etty Hillesum scrisse il suo Diario ad Amsterdam tra il 1941 e il 1943, probabilmente su indicazione dello psico-chirologo ebreo-tedesco Julius Spier, con il quale ebbe un forte legame. Venne pubblicato per la prima volta nel 1981.

La vita di Etty Hillesum è diventata simbolo di un cammino che, oltre tutti i fili spinati, interiori ed esteriori, va alla ricerca di una sorgente molto profonda, il divino che è nell’essere umano. Partendo da un proprio percorso di autoanalisi e indagine spirituale Etty Hillesum si confrontò con il dolore proprio e altrui, facendosi testimone delle miserie e delle ricchezze dell’esperienza del campo di concentramento. Una scelta di resistenza esistenziale di fronte agli orrori del suo tempo, alla ricerca di un senso “altro” di sé, della vita e della relazione con gli altri.

 

Esther Hillesum, detta Etty (Middelburg 1914-Auschwitz 1943), è stata una scrittrice olandese di origine ebraica, vittima dell’Olocausto. Laureatasi in giurisprudenza ad Amsterdam, si iscrisse anche alla Facoltà di Lingue Slave, ma a causa della guerra dovette interrompere i suoi studi. Concluse invece il corso di Letteratura russa, e negli anni successivi impartì lezioni di russo sia privatamente sia presso l’Università popolare di Amsterdam. All’inizio della guerra si interessò di psicologia analitica junghiana grazie al lavoro dello psico-chirologo ebreo-tedesco Julius Spier, che conobbe nel 1941 come paziente, divenendo in seguito la sua segretaria e una delle amiche più intime. Nel 1942, lavorando come dattilografa presso una sezione del Consiglio Ebraico, ebbe anche la possibilità di salvarsi, ma, forte delle sue convinzioni umane e religiose, decise di condividere la sorte del suo popolo. Lavorò poi nel campo di transito di Westerbrok come assistente sociale, dove furono internati i genitori e i fratelli Mischa e Jaap. Il 7 settembre tutta la famiglia, tranne Jaap, fu deportata nel campo di sterminio di Auschwitz, dove Etty morì il 30 novembre del 1943

Diario (1941-43) (Adelphi). All’inizio del Diario Etty è una giovane donna di Amsterdam, intensa e passionale. Legge Rilke, Dostoevskij, Jung. È ebrea non osservante, ma i temi religiosi la attirano. Poi, a poco a poco, la realtà della persecuzione comincia a infiltrarsi fra le righe del diario. (…) Annota: “La nostra distruzione si avvicina furtivamente da ogni parte, presto il cerchio sarà chiuso intorno a noi e nessuna persona buona che vorrà darci una mano lo potrà oltrepassare”. Ma, quanto più il cerchio si stringe, tanto più Etty sembra acquistare una straordinaria forza dell’anima. Non pensa un solo momento, anche se ne avrebbe l’occasione, a salvarsi. Pensa a come potrà essere d’aiuto ai tanti che stanno per condividere con lei il “destino di massa” della morte amministrata dalle autorità tedesche. Confinata a Westerbrok, campo di transito da cui sarà mandata ad Auschwitz, Etty esalta persino in quel “pezzetto di brughiera recintata dal filo spinato”, la sua capacità di essere un “cuore pensante”. Se la tecnica nazista consisteva innanzitutto nel provocare l’avvilimento fisico e psichico delle vittime, si può dire che su Etty abbia provocato l’effetto contrario. A mano a mano che si avvicina la fine, la sua voce diventa sempre più limpida e sicura, senza incrinature. Anche nel pieno dell’orrore, riesce a respingere ogni atomo di odio, perché renderebbe il mondo ancor più “inospitale”. La disposizione che ha Etty ad amare è invincibile. Sul diario aveva annotato: “‘Temprato’: distinguerlo da ‘indurito’”. E proprio la sua vita sta a mostrare quella differenza.

 

Alcune citazioni

«Sappilo, Dio: farò del mio meglio. Non mi sottrarrò a questa vita. Continuerò ad agire e a tentare di sviluppare tutti i doni che ho, se li ho. Non saboterò nulla. Di tanto in tanto, però, dammi un segno. E fa’ in modo che esca da me un po’ di musica, fa’ in modo che trovi una forma ciò che è in me, che lo desidera così tanto.»

«Io credo che dalla vita si possa ricavare qualcosa di positivo in tutte le circostanze.»

«Una pace futura potrà essere veramente tale solo se prima sarà stata trovata da ognuno in se stesso.»

«Accetto questa nuova certezza: vogliono il nostro totale annientamento. Ora lo so […] Ma continuo a lavorare e a vivere con la stessa convinzione e trovo la vita ugualmente ricca di significato»

«Trovo bella la vita, e mi sento libera. I cieli si stendono dentro di me come sopra di me. Credo in Dio e negli uomini e oso dirlo senza falso pudore. La vita è difficile, ma non è grave. Dobbiamo prendere sul serio il nostro lato serio, il resto verrà allora da sé: e “lavorare sé stessi” non è proprio una forma di individualismo malaticcio.»

Una pace futura potrà esser veramente tale solo se prima sarà stata trovata da ognuno in sé stesso – se ogni uomo si sarà liberato dall’odio contro il prossimo, di qualunque razza o popolo, se avrà superato quest’odio e l’avrà trasformato in qualcosa di diverso, forse alla lunga in amore se non è chiedere troppo. È l’unica soluzione possibile. […] Sono una persona felice e lodo questa vita, la lodo proprio, nell’anno del Signore 1942, l’ennesimo anno di guerra.»

 

 

Info:

Fondazione Bottari Lattes – 011.19771755-1 – segreteria@spaziodonchisciotte.it

WEB fondazionebottarilattes.it | FB Fondazione Bottari Lattes | TW @BottariLattes

 

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